A Schiavi di Abruzzo (CH), per il terzo anno consecutivo, si rinnova a cura del “Centro Italico Safinim APS”, l’antico rito dedicato ai defunti con l’evento de “Le casette degli angeli”. Un’antica tradizione che era andata in disuso da decenni nel borgo dell’Alta Valle del Trigno. Con materiali di risulta e tanta fantasia, i bambini e le famiglie della comunità, realizzano delle casette all’interno delle quali posizionare dei lumini votivi in memoria dei cari defunti.
A partire da sabato 30 ottobre e per tutto il mese di novembre, l’associazione e le famiglie del centro montano vi invitano a posare, da tutto l’Abruzzo e non, la vostra casetta sulla scalinata della pineta “La Rotonda”. L’intento è quello di continuare a far rivivere l’antica usanza del paese e di rendere sempre più scenografica la gradinata. Per questo ci serve il vostro contributo, quest’anno i protagonisti sarete voi!
Affinché la partecipazione all’evento sia il più possibile numerosa, vi preghiamo di condividere l’evento con i vostri amici. Noi, restiamo a vostra completa disposizione per qualsiasi informazione o chiarimento ai seguenti recapiti mobili: 3314508776 (Daniele) – 3203726352 (Veronica) – 3383532484 (Vittorio) – 3316026376 (Marco) e sulla pagina facebook del “Centro Italico Safinim”.
Quest’anno l’evento è dedicato alle vittime degli incidenti sul lavoro e per ricordare l’importanza del tema della sicurezza sui luoghi di lavoro.
Un pò di storia con… Il culto dei morti in Abruzzo.
Il culto dei defunti in Abruzzo ha radici antichissime, lo dimostra la presenza diffusa sul territorio di vari tipi di rituali, molti scomparsi o soppressi, altri sopravvivono grazie all’attaccamento alle tradizioni da parte di alcune comunità locali. Un tratto distintivo ancora in auge in molti paesi della Valle del Trigno è l’usanza dei ceri accesi nelle case e nelle chiese. Fino a pochi decenni fa, quando le case dei centri storici erano ancora abitate, i paesi assumevano l’aspetto di una diffusa luminaria. Queste luci servivano ai defunti per farsi luce sulla strada del ritorno, quelle accese alle finestre indicavano ai morti il luogo dell’antica dimora. Dalle luci del camposanto alle lingue di fuoco delle candele oscillanti alle finestre si snodava, silenzioso e invisibile il corteo delle anime dei defunti.
Usanze e credenze relative alla morte a Schiavi di Abruzzo – Tratto da “Vita e Credenze popolari in Schiavi di Abruzzo” del prof. Edilio FantilliIl folclore funebre schiavese offriva un prodigo ventaglio di credenze e usanze relative alla morte. Le anime dei defunti erano circonfuse da un fervido e perpetuo sentimento di pietà, nonché da un culto che stringeva i vivi e i morti in una schietta e continua “corrispondenza di amorosi sensi”.
In questo humus di viva “pietas” hanno attecchito superstizioni e consuetudini dal timbro vario e singolare. Il canto stridulo e querulo di gufi e civette agitava il sonno degli schiavesi, perché ritenuto nunzio di morte. Nel novero dei segni di cattivo auspicio troviamo il banchettare in una tavola rivolta verso l’uscio: questa disposizione si osservava nelle veglie esequiali.
Ad Aprile, insieme alla natura, si risvegliava un’altra credenza: il primo cuculo che segnalava la propria presenza con il suo caratteristico canto bitonale, era la reincarnazione dell’ultima persona morta nel mese di Marzo. Il 2 di novembre era possibile addirittura vedere i morti sfilare in processione. In testa c’erano le anime splendenti dei beati, che tenevano in una mano un lumino, e nell’altra un mazzo di fiori. In coda la turba livida dei reprobi, immersa nelle tenebre, ammiccava minacciosa. Quando si desiderava che un proprio caro deceduto sfilasse nel gruppo dei beati, bisognava accendere un lumino in chiesa. Nelle frazioni si narrava di un uomo ubriaco che, fischiettando, ed abbandonandosi a rumorosi fenomeni di meteorismo, passeggiava vicino alla chiesa del Purgatorio, dissacrando così il riposo eterno delle anime sepolte nella cripta ivi annessa; le quali, fortemente indignate, gli ricordarono che presto o tardi anch’egli, così irriverente e ridanciano, avrebbe sperimentato, come loro, la morte: – Tu pisse e hé mi ni ‘nzò, hé so sctate gna si tò, prega deija ca tìa muré, e hìa viné ‘ndonna sctinghe hé – (tu passi e hé mi ni ‘nzò – intraducibile -, io sono stato come sei tu, prega Dio, perché dovrai morire, e dovrai venire dove sto io).
Ed ancora, qualcosa sul trasporto dei defunti. Tratto da “Presenza Evangelica a Schiavi e nell’Alto Vastese dal 1890 al 1960” di Giulio Vicentini.
A Schiavi il servizio di trasporto delle salme al cimitero con portantina a spalla – una struttura in legno squadrata e simile ad una cassa da morto – presentava non poche difficoltà. Pensiamo alla fatica del trasporto dovuta alla situazione topografica del paese per le strade in continua discesa e salita. La troviamo menzionata in un racconto del 1901, di Pasquale Lo Re, a proposito di una delle tante forme (azioni messe in atto) di ostilità e di rifiuto nei confronti della predicazione evangelica nel paese montano: “I preti rifiutarono la bara (portantina, barella); nessuno degli uomini cattolici vollero offrirsi a soccorrere i portatori della salma, i quali erano Nicola De Sante, fratello dell’estinto, l’anziano di Schiavi (Nicola Fantilli) e Flaminio del Vecchio. Ma, essendo il cimitero molto lontano, alle mie rampogne molte giovani donne si offrirono in aiuto”.
Quella in uso presso il falegname Arnaldo Fiorito (detto d’mbrozio) riportava una frase – incisa nel legno dallo stagnaro del paese Giuseppe Fiorito (anch’esso d’mbrozio) – che più o meno recitava così: – “presto o tardi in quest’avvento ogni pompa finirà e il ricco o il poverello qui confuso resterà”. Più volte ho sentito citarla da mia nonna, Adelina Angelilli, e da mia zia, Antonietta Fiorito, persone anziane nella cui memoria e nei modi di vita era ed è più forte il legame con la vita tradizionale.
MC